Una delle ricerche che mi ha regalato più emozioni è stata quella sulla famiglia Gambino: un’indagine che mi ha fatto sudare, perdere il sonno e che, ancora oggi, a più di un secolo di distanza, conserva un velo di mistero.
Nella mia famiglia, precisamente da parte di mia nonna paterna, ci si è sempre chiesti chi fosse e che fine avesse fatto il suo bisnonno, Luca Gambino. I racconti tramandati parlavano di un uomo dal destino controverso: qualcuno sosteneva che avesse ucciso la moglie per una “mancanza”, altri ricordavano che fosse un marinaio vissuto nel quartiere di Ognina e che, dopo l’ipotetico omicidio, fosse partito verso un’isola chiamata San Ferdinando, dove avrebbe fatto fortuna con le coltivazioni di canna da zucchero.
Si diceva anche che fosse stata mantenuta una corrispondenza con i parenti in Sicilia fino ai primi anni Quaranta del Novecento, quando le tracce si persero del tutto.
Raccolte tutte queste informazioni, decisi di iniziare la mia ricerca. Una ricerca che mi portò a rovistare tra archivi comunali, registri parrocchiali, siti di emigrazione e, soprattutto, a indagare sulla famosa isola. Ogni piccolo indizio sembrava aprire nuove domande anziché dare risposte definitive.
Infatti, nel corso della mia indagine, scoprii che la famosa moglie Maria Scalia in realtà non era sposata con Luca, ma era solo una concubina: lui aveva già contratto matrimonio in precedenza.
Da questa unione irregolare nacque la mia trisavola Raffaela, l’unica figlia che, chissà con quale stratagemma, riuscì a portare ufficialmente il cognome Gambino. Ma non era sola: trovai altri otto fratelli e sorelle, tutti registrati all’anagrafe come Scalia e dichiarati “figli di padre ignoto”.
Ignoto, però, non lo erano affatto: nei registri battesimali della Chiesa di San Gaetano alla Marina, risultavano tutti con il cognome Gambino, riconosciuti almeno davanti a Dio e alla comunità religiosa.
A questo punto erano già passati alcuni anni. Avevo raccolto numerosi documenti sulla famiglia Gambino e scoperto che Ugo, come era stato battezzato, era nato a Novara di Sicilia, in provincia di Messina, e portava il nome del santo patrono del paese. Suo padre proveniva da Misilmeri, in provincia di Palermo, e aveva sposato un’Ogninese, Raffaela Testa, un nome che sarebbe stato tramandato nella mia famiglia fino alla mia trisavola, a mia nonna, a me (secondo nome) e a mio figlio Raffaele.
Ugo, quindi, si faceva chiamare Luca, ma anche Luca Annino, almeno come risulta dai registri di morte delle sue due mogli: Maria Scalia, nel 1896, e la moglie “ufficiale”, nel 1928, data in cui lui risulta già deceduto… ma dove?
Non mi rimaneva che seguire la pista dei figli di Luca, visto che non avevo avuto alcun riscontro sulla sua famosa emigrazione nell’isola di San Ferdinando, che tra l’altro non ero mai riuscita a localizzare con certezza.
Ricostruite tutte le ascendenze, trascorse ancora un anno prima di riuscire, per puro caso, a rintracciare una lontana cugina della mia trisavola su un gruppo Facebook di Ognina. Mi disse che sua zia era emigrata in Argentina, nell’isola di San Fernando… non potevo crederci! L’adrenalina era alle stelle: finalmente avevo una pista concreta.
Tramite altri gruppi Facebook riuscii a individuare la zona: si trattava di un’area rurale sulle rive del *Delta del Paraná. Scrissi un appello in diversi gruppi e, finalmente, ricevetti un messaggio: era la pronipote di Alfio Scalia Gambino. Il cuore mi batteva a mille mentre leggevo e traducevo i messaggi dallo spagnolo, aspettando di sapere qualcosa su Luca.
Ma, ahimè, la gioia durò poco. Nonostante l’ottimo traguardo, la cugina mi confermava che lì Luca non era mai venuto. Alfio aveva invece raggiunto lo zio *Salvatore Gambino* (fratello maggiore di Luca, emigrato qualche anno prima) nel 1910, e insieme avevano lavorato nelle coltivazioni e nel trasporto di frutti. Lo zio Salvatore era soprannominato “El Manco” perché rimasto ferito a una mano durante una battuta di caccia.
Confermava, inoltre, il fatto che Luca avesse le mani sporche riguardo al decesso della concubina, ma purtroppo nemmeno loro conservavano alcuna foto.
Sono passati altri mesi, ma non mi arrendo. E la domanda in famiglia è sempre la stessa, a cento anni di distanza: che fine ha fatto Luca Gambino?
Teresa Spedone, figlia di Salvatore e Nunzia Leonardi, fu la mia bisnonna. Nacque nel 1903 e visse fino al 1993, ma io non ebbi mai il piacere di conoscerla. Eppure, nella mia famiglia il suo ricordo non è mai svanito: i miei quattro zii la conobbero molto bene e di lei parlavano spesso.
La mia bisnonna non parlava mai di suo padre, che l’aveva abbandonata in tenera età, e raccontava pochissimo anche di sua madre, Nunzia Leonardi, nata nel 1886 e figlia di Cosimo (1851–1940).
La data di morte di Nunzia rimase per lungo tempo avvolta nel mistero, un’ombra che sfidava ogni certezza. Grazie alle mie ricerche, oggi sapevo con sicurezza che Nunzia era morta nel 1929. Tuttavia, questa informazione era stata tramandata in modo ambiguo nei vari rami della famiglia.
La nonna Teresa, infatti, non era figlia unica: aveva un fratello, Giovannino, e una sorella, Rosa. Non era stato possibile intervistare né Giovannino né alcuno dei suoi discendenti. Tuttavia, A., figlia di Rosa, riportava una testimonianza piuttosto diversa da quella tramandata dalla nonna Teresa.
Secondo la versione “ufficiale” raccontata da Teresa Spedone, sua madre Nunzia era morta durante l’epidemia di influenza spagnola che aveva colpito la Sicilia nel biennio 1918-1919. La nonna Teresa, rivolta ai suoi nipoti, ricordava spesso:
Voi ragazzini di oggi non sapete cosa significa avere delle difficoltà: dovetti occuparmi della casa e dei miei fratelli da quando morì mia mamma. Avevo solo 11 anni!
E già qui emergeva la prima incoerenza. I più attenti avranno notato che Teresa era nata nel 1903: avrebbe dunque compiuto 11 anni nel 1914, cioè quattro anni prima dell’arrivo dell’influenza spagnola in Sicilia.
Si trattava di un banale errore di calcolo, tramandato oralmente di generazione in generazione, oppure di un tentativo di nascondere qualcosa? Non lo sapevamo. Quello che sapevamo, però, era che la signora A., figlia della sorella di Teresa, ricordava la storia in modo diverso: nessuna data precisa, ma la presunta morte di Nunzia durante un parto.
La conferma arrivò solo con la consultazione dei documenti dello stato civile: Nunzia Leonardi non era morta nel 1914, né nel 1918, bensì nel 1929, presso l’ospedale Santa Marta. Il mistero si infittiva.
All’epoca della mia ricerca, però, non ero ancora esperto e non conoscevo l’immensa disponibilità di FamilySearch per la consultazione dei documenti non catalogati. Per me, gli indici decennali del comune di Catania si fermavano al 1905.
Mi recai quindi in archivio e chiesi il documento originale. Consultarono subito l’indice decennale, ma per ottenere la copia dell’atto dovetti aspettare un mese.
Era comprensibile che il mio interesse fosse così alto, e quasi compulsivamente digitai su Google: “Nunzia Leonardi Catania”. Il risultato, dopo qualche piccolo controllo interno, fu incredibile.
Non solo trovai il suo nome, ma anche un dipinto votivo che la ritraeva. Un olio su latta, datato 4 ottobre 1914, conservato nella Chiesa dell’Ospedale Santa Marta di Catania. L’immagine mostrava una donna distesa su un tavolo operatorio, circondata da medici e infermieri intenti a un intervento chirurgico addominale. La didascalia recitava: “Leonardi Nunzia di anni 27 operata il 4 ottobre 1914, Catania”.
Tornava tutto. Tornava l’età. Tornava l’anno di sparizione da casa. Tornava la morte in ospedale.
Determinato a comprendere meglio le circostanze della morte di Nunzia, decisi di cercare informazioni sul suo ricovero presso l’archivio dell’ospedale San Marco. Non fu semplice: gli archivi non erano visitabili liberamente. Un gentile addetto riuscì comunque a rintracciare un indice del ricovero.
Tuttavia, il mio tentativo di accedere alla cartella clinica completa si scontrò con la resistenza del personale, e non riuscii mai a ricostruire fino in fondo l’esito di questa storia. Tra il diritto alla privacy dei discendenti e le difficoltà di ricerca all’interno di un archivio antico, frammentario e soggetto a restrizioni, forse la verità su Nunzia Leonardi resterà per sempre sepolta.
Questa storia si chiude così, con un finale aperto e, forse, insoddisfacente. Nel prossimo racconto parlerò di Salvatore, e in un altro ancora di Teresa, della sua infanzia segnata dall’abbandono dei genitori e della sua famiglia adottiva, che possedeva una sartoria in via Manzoni.
Nell’estate del 1958, insieme a mio fratello Giuseppe, mi mandarono in vacanza a Roma dalla zia Titina, sorella di mio padre. Ero poco più che una bambina e facemmo il viaggio in treno accompagnati dalla zia Ada, sorella di mia madre. Eravamo una famiglia piena di zii e di zie di ogni grado. Venivano spesso in visita dai nonni nei pomeriggi della domenica o in occasione degli onomastici, ma di chi fossero zii non sempre mi era chiaro.
A Roma fu un dovere andare un pomeriggio a trovare la zia Celestina che voleva conoscerci e perciò mi vestii e pettinai per bene per fare una bella figura. La zia Celestina era una signora di modi dolci, inferma, sdraiata in salotto su un lettino sistemato davanti al balcone perché quel pomeriggio faceva un gran caldo. Sembrava tutta bianca, i suoi capelli, la sua pelle, la sua camicia da notte leggera che copriva un addome che allora mi parve di molto sovrabbondante. Si parlò del tempo e dei parenti, poi mi fece cenno di avvicinarmi e mi prese una mano. “Ricordati cara che tuo nonno appartiene ad una grande famiglia, nobile e importante”. Ero intimidita e imbarazzata, la sua voce bassa e al tempo stesso solenne mi incuteva un po’timore mentre sussurrava quelle parole. Non ho più rivisto la zia Celestina ma non ho mai dimenticato quell’incontro.
Mio nonno Peppino, Giuseppe de Napoli, era molto riservato e taciturno, non parlava mai dei suoi parenti, forse perché aveva avuto dei dispiaceri o forse perché non vi era molta confidenza fra di noi. Era rimasto orfano di padre all’età di sei anni, suo nonno e il suo bisnonno erano stati ufficiali dell’esercito borbonico, uno di loro non si sa chi era caduto da cavallo. Pochi scarni racconti familiari molto vaghi e pieni di inesattezze che si tramandavano. Quando, dopo molti decenni da quel viaggio a Roma, ho iniziato a fare ricerche sulla mia famiglia non senza fatica ho ricostruito la linea paterna anche perchè mi imbattevo in cognomi e luoghi di cui a casa mai avevo sentito parlare. Ho cominciato a interrogare i parenti, aggrappandomi ad ogni lontano ricordo della mia infanzia e divenne un imperativo cercare la zia Celestina. Mi pareva di ricordare che fosse una cugina del nonno ma non sapevo il suo cognome né in che modo fossero cugini. Ad ogni telefonata con i parenti romani mi ostinavo a chiedere di lei e non mi pareva possibile che tutti se ne fossero dimenticati. Mia mamma ricordava però che papà di tanto in tanto andava a trovare una zia che poteva chiamarsi Celestina e che viveva però a Messina.
Nel giugno del 2021 le mie ricerche si spostano su Augusta perché avevo scoperto che il mio secondo bisnonno era nato lì. La gentilissima dott. Marinella Mendola, ufficiale di stato civile del Comune di Augusta, mi invia il certificato di matrimonio dei suoi genitori, i miei terzi bisnonni, Pasquale Napoli e Raffaella Petromasi, avvenuto il 30 luglio 1823. Non avevo mai sentito parlare dei Petromasi prima di allora e in breve scopro che si trattava di una nobile famiglia di Augusta che vantava celebri personaggi e valorosi militari di carriera, tutti di fede borbonica. I Petromasi erano imparentati con quasi tutte le nobili famiglie della città, i l’Astorina i Penna, i Galves, Zoppelli, Rossi, Amodei, Tumscitz. Si dividevano fra Augusta, Palermo, Messina e Napoli dove spesso occupavano prestigiosi incarichi di governo. Quella su di loro è stata una ricerca che mi ha molto appassionata e coinvolta ma poiché non sono una ricercatrice ordinata, salto da un ramo familiare all’altro, lasciandomi dietro molti vuoti, poi ritorno sui miei passi cercando di colmare questi vuoti, se magari la fortuna mi aiuta.
Nel settembre 2025 per l’ennesima volta riprendo a lavorare sul ramo Napoli-Petromasi cercando di fare chiarezza: riassumendo, il mio secondo bisnonno Giuseppe Napoli capitano del Reale Esercito del Regno delle Due Sicilie, era primogenito di Pasquale Napoli e Raffaella Petromasi e aveva sposato a Palermo Elisabetta Fiorentino dalla quale aveva avuto sette figli ma di essi soltanto il primogenito, Pasquale de Napoli, mio bisnonno, era sopravvissuto. Di ognuno di loro avevo ritrovato la data di nascita e di morte tranne della madre e dell’ultima figlia, Giovanna. Ma ecco che FamilySearch accelera le digitalizzazioni e mi segnala il documento di morte di Elisabetta Fiorentino, cercato invano per anni. Era morta a Caserta nel 1864 “ha lasciato due figli superstiti Pasquale e Giovanna”. Spesso nei documenti della Campania i figli superstiti vengono registrati nell’atto di morte. Dunque c’era un’altra discendente! Seguono brevi, febbrili e fortunate ricerche. Giovanna Napoli non soltanto era sopravvissuta ma tornata a Catania si era sposata con un Giuseppe Giuffrida dal quale aveva avuto almeno tre figli, Anna Maria (1892), Celeste (1894), Alfio (1897).
Il 27 settembre 2025 guido l’auto ripassando a mente le mie recenti scoperte genealogiche e d’improvviso un dubbio mi attraversa la mente. Ma questa Celeste figlia di Giovanna non potrebbe essere la zia Celestina?
Sì, è lei. Celeste Giuffrida e Napoli, nata a Catania il 27 luglio 1884, aveva sposato il 21 febbraio 1921 Andrea Geremia, ufficiale della Guardia di Finanza. Avevano vissuto a Scaletta Zanclea in provincia di Messina dove era nata una figlia, Filippa, poi si erano trasferiti a Roma dove è morta il 16 dicembre 1966. Era cugina di primo grado del nonno Peppino perché figli di fratello e di una sorella che credevo fosse morta infante.
Dopo sessantasette anni il cerchio incredibilmente si è chiuso. La ricerca genealogica regala emozioni e stupore quando d’improvviso appare l’intreccio delle circostanze.
Cara zia Celestina, ora so perché in quel nostro unico lontano incontro mi sussurrasti quelle parole, come per affidarmi un incarico. Sono ormai anziana e ci sono arrivata tardi, appena in tempo per lasciare una memoria della famiglia. Ma tu allora come hai fatto a capire che potevi fidarti di una ragazzina come me? Grazie.
Ci tenevo a descrivervi la ricerca che ho svolto in merito al mio pro-zio Silvestro Di Stefano, (fratello di mia nonna Salvatrice "Dorina" Di Stefano), di cui mio padre Silvestro Arena porta orgogliosamente il nome.
La nostra famiglia non ha più avuto tracce da quel lontano 1945. Le ultime notizie di Zio Silvestro risalgono al 1944: si trasferisce a Milano per aprire una grossa ferramenta (l'altro negozio già molto avviato a Catania, in Piazza Mazzini dalla famiglia stessa).
In questo ultimo anno, sono riuscito a ricostruire quasi tutti i suoi passaggi, grazie all'aiuto dell'amico Salvo Fagone che ringrazio pubblicamente.
Purtroppo, l’unica cosa di cui oggi non abbiamo certezza, è la sua sepoltura; di seguito, il suo infinito "calvario":
Di Stefano Silvestro, figlio di Salvatore e Agatina Strano, nasce il 15 aprile 1913 a Catania.
Celibe, di mestiere commerciante/mercante, risiede a Catania. Viene arrestato il 26 agosto 1944 a Milano e presumibilmente detenuto presso le Carceri di San Vittore. Viene poi internato nel Campo di concentramento e transito di Bolzano (Polizei - und Durchgangslager Bozen) il 20 settembre 1944 (proveniente da Milano). Su disposizione del BDS di Verona (Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des SD - Comandante della Polizia di Sicurezza e Servizi di Sicurezza), viene deportato nel Campo di concentramento di Dachau il 5 ottobre 1944 (trasporto n° 90). All’arrivo, il 9 ottobre 1944, gli viene dato il numero di matricola 113274, viene classificato come deportato per motivi precauzionali (SCH - Schutzhäftlinge). All'atto dell'immatricolazione dichiara di essere cuoco.
Il 12 dicembre 1944 viene trasferito a Buchenwald, dove arriva il 13, viene immatricolato con il numero 34506 e gli viene assegnata la categoria di deportato per motivi politici (POL - Politisch). Viene poi trasferito all’Aussenkommando S3 Olga (nome in codice di un progetto di tunnel per la costruzione di armi segrete - campo satellite di Buchenwald) il 19 dicembre 1944. Successivamente, viene decentrato a Ohrdruf (campo satellite di Buchenwald) il 15 gennaio 1945, dove gli assegnano il numero di matricola 111438. Infine, viene trasferito a Bergen Belsen dove arriva il 23 marzo 1945. Presumibilmente muore a Bergen Belsen e, visto che non risulta tra i Caduti rintracciati e traslati nei cimiteri militari italiani, presumibilmente sepolto in fossa comune a Buchenwald.
Il suo nome però, non risulta nell'elenco generale (oltre 16.000 Caduti) degli italiani sepolti nei cimiteri militari italiani in Austria, Germania e Polonia. Quindi quasi certamente purtroppo è finito in fossa comune o nel forno crematorio.
Sfortunatamente, si tratta di deportato in KL (lager gestiti dalle SS) prima come precauzionale e poi come politico. Pochissimi morti, appena prima o dopo le liberazioni dei lager, ebbero il privilegio di una sepoltura singola.
A tutt'oggi, non mi è ancora chiara la ragione esatta per cui viene internato.
Era davvero difficile, la zia Antonina [ Reitano , 1933 - 2012 ] con movenze linguaggio e personalità da Bradipo , fine anni 80 si passava l'estate a casa sua con gli altri cugini. La domenica era quasi un supplizio dover ascoltare la storia del 'nonno pippino' , le foto del periodo bellico e le magagne dello zio Salvatore. La sua disperazione raggiungeva il culmine quando , dopo aver visto i match della Nfl , imitavo il linguaggio del cronista Dan Peterson e con i cugini giocavamo con una palla di carta che imitava l'ovale del football americano: "....basta, fermo siediti e ascolta..." In camera un collage di foto stile ottocentesco, abbigliamento e personaggi obsoleti per la mia curiosità, accanto quel collage il quadro dell allunaggio : Armstrong, l'Apollo e la bandiera degli u.s.a. ; ecco ...da piccolo guardavo sempre quel quadro fortemente incuriosito ed era l'unico modo per fermarmi ed ascoltare le storie dei cugini in America...ma, col tempo capivo che era sempre un escamotage per arrivare al nonno Pippino e zio Salvatore, quest'ultimo lo vidi pochissime volte, taciturno e riflessivo gli unici ricordi di questo bravo scrittore e poeta. Dopo 32 anni, intorno quindi al 2012 , la zia Antonina , sempre affettuosa e 'bradipo' mi affida con insistenza foto, scartoffie ed un , rivelatosi prezioso in seguito , taccuino con scritti e appunti del nonno Giuseppe Lo Presti. Non capivo perché questa sua insistenza nell affidarli a me, ....dopo tanti anni adesso lo so , grazie zia senza di te non avrei mai potuto iniziare le ricerche genealogiche. L'avventura inizia proprio dal taccuino, cercando di incrociare i racconti di famiglia con gli scritti, pensavo sarà possibile? Niente , tra le tante cose scritte il taccuino non restituiva il luogo di nascita del Giuseppe Lo Presti, tante date di figli nonne appunti di famiglia etc ....ma avevo capito che l'unico modo era cercare tra i registri. Inizialmente , non avendo nessuna padronanza nelle ricerche on line faccio anche qualche capatina tra archivio storico e stato civile, ci giro attorno....ma nulla, dove è nato? Sicuramente, come tramandato in famiglia e scritto nel taccuino , da una nota famiglia nobile della provincia di Catania, ma era una relazione nascosta e, a quei tempi non era opportuno fare sapere. Finalmente , dopo poco tempo insistendo , arriva il luogo , il mio bisnonno nacque a Scordia nel 1873, morto a Catania nel 1947. Giuseppe contrasse matrimonio con una Interlandi, nata a Catania nel 1885, discendenza Caltagironese. Ebbero 4 figli: Salvatore, Maria, Adele Provvidenza [mia nonna ] e Jolanda, quest ultima morta prematuramente alla tenera età di 9 anni, un brutto colpo per Giuseppe.
Iniziò la sua carriera presso la libreria 'Giannotta' in Catania nel 1909. Dopo qualche anno di esperienza si trasferì [1912] a Palermo lavorando per la casa editrice 'Remo Sandron' , come commesso viaggiatore, rappresentante di libri. La 'Sandron' , dopo il tracollo finanziaro nel secondo conflitto mondiale, cessò la sua attività in Palermo, ed è tuttora operante nel settore edizioni nella città di Firenze. Si trasferisce a Roma nel 1914 lavorando per la casa editrice 'Angelo Signorelli', dopo un anno rientra nuovamente a Catania aprendo una libreria in Via Etnea. Nel 1916 riprende a viaggiare tra Roma, Palermo e Messina [ libreria Bemporad, Ferrari e Reber] .Nel 1918 decide di ritornare a Palermo , lavorando ancora per la 'Remo Sandron' sino al 1920, poco dopo , probabilmente rientrò a Catania per la morte della figlia Jolanda. Il 30 Agosto del 1920 fu assunto presso la elvetica Ditta Caviezel in Catania, sino al secondo periodo bellico. Dopo il matrimonio con Antonina Interlandi [ Ct 1885/1911] ebbe una proposta di matrimonio con una donna dei Caviezel, che rifiutò.Particolare curioso: la moglie Antonina, ad insaputa del marito, donò una cospicua somma di denaro per la costruzione/restaurazione del campanile della matrice di Aci Sant Antonio.
Salvatore , il primogenito dei Lo Presti [Catania 1903-1980] laureato in giurisprudenza iniziò giovanissimo la sua attività letteraria, a 17 anni , partecipa attivamente all'Impresa di Fiume guidata da Gabriele D'Annunzio , subito dopo inizia a collaborare con la rivista futuristica "Haschisch" .
Una raccolta di poesie "luci notturne" sono una testimonianza viva della sua sensibilità, dopo alcuni anni , durante il quale si dedicò alla critica letteraria e alla letteratura infantile , scrisse per i bambini racconti che apparvero sulla pagina dei piccoli del "giornale dell'isola" ; si diede allo studio delle tradizioni popolari assurgendo in breve ad una delle figure più rappresentative che c'erano in Sicilia in tale campo.. Nel 1927 pubblicò a Catania un libro che rimase fondamentale nella storia del teatro popolare "I Pupi" , alternò la sua attività di scrittore con quella di giornalista, collaborando con il quotidiano "La Sicilia" di Catania e nella terza pagina de "Il Tempo" di Roma, anche corrispondente della "Stampa sera" e "Corriere Lombardo". Tra le sue opere
La pesca e i pescatori nel golfo di Catania.
-Fatti e leggende catanesi
Il Carretto
Barche di Sicilia
Memorie storiche di Catania
I Briganti.
Nel 1925 sposò la catanese Agatina Di Grazia [nata a Catania nel 1906] ed ebbe tre figlie Dorotea, Antonia e Liliana, quest ultima docente di lettere presso L'ITC C.Gemmellaro in Catania. Nel 1977 in seconde nozze , sposa Maria Grazia Lombardo , morì il 28 settembre 1980 a Catania. Grazie per la fiducia zia Antonina, senza di tè non sarei mai arrivuto sin qui.